LA PRATICA COLLABORATIVA

Articolo a cura di Camilla Cucchi

Origine e nozione

La Pratica Collaborativa è un metodo di risoluzione non giudiziario dei conflitti che nasce nel
contesto delle controversie familiari e successivamente utilizzata anche nelle materie civili e
commerciali. In particolare, è un metodo di negoziazione, condiviso e leale, volto ad assistere le
parti affinché’ raggiungano, senza ricorrere ad un giudice, un accordo sostenibile, duraturo e
condiviso. La Pratica Collaborativa nasce negli Stati Uniti nel 1990 ed è ormai praticata in molti Paesi
europei, dal 2010 anche in Italia. Il suo fondatore è Stuart Webb, un avvocato di Minneapolis
specializzato in diritto di famiglia. Si è poi diffusa in Canada, Australia, Europa e in altre parti del
mondo.110 Webb ritenne che la via giudiziale non fosse quella giusta da percorrere per risolvere le
controversie familiari. Lo stesso infatti elaborò una nuova modalità di risoluzione delle controversie
attraverso le tecniche di problem solving che permetterebbero agli avvocati di allontanarsi dalle
tecniche e dalle strategie tipiche del contenzioso. La Pratica Collaborativa non è stata inizialmente
disciplinata dalla legge e quindi non si basa su una fonte autoritativa ma si tratta di una prassi
professionale intesa come un insieme di attività e di pratiche che si sono sviluppate nell’esercizio di
una professione.
Questa pratica si pone come alternativa sia al procedimento giudiziale contenzioso, sia alla
negoziazione stragiudiziale tradizionale volta al raggiungimento di un accordo. Tutti i professionisti
che coadiuvano le parti nel corso del procedimento collaborativo devono essere opportunamente
formati e sono tenuti al rispetto, oltre che ai principi deontologici dei rispettivi ordini professionali,
anche dei principi etici stabiliti dall’International Academy of Collaborative Professionals (IACP). La
prassi della Pratica Collaborativa, infatti, fa riferimento ad un processo di negoziazione che coinvolge
nelle trattative, in modo diretto, le parti, gli avvocati, e gli eventuali professionisti che li assistono,
nell’ambito di un lavoro di squadra e in un clima di collaborazione, buona fede e trasparenza,
nell’intento di raggiungere soluzioni concordate. I vantaggi di tale modello collaborativo sono: 1.
Ogni parte è assistita da un avvocato di sua scelta (ciò normalmente non accade in mediazione
almeno finché un accordo non sia stato raggiunto); 2. Questo permette agli avvocati di focalizzare il
proprio lavoro nel definire gli accordi senza l’intimidazione di “andare in giudizio” che incombe
dietro l’angolo; 3. Vi è maggiore stabilità tra l’accordo deciso in sede “collaborativa” e l’accordo di
cui si chiederà l’omologazione; 4. L’obiettivo di evitare il giudizio sprona gli avvocati e le parti a
raggiungere un accordo sviluppando tecniche di problem solving; 5. Gli avvocati sono liberi di
utilizzare le loro proprie abilità di analisi, problem solving, creazione di alternative, pianificazione
dell’intera vicenda sotto tutti i profili fiscali, patrimoniali, emotivi etc;
6. Si tratta di un percorso caratterizzato da un clima di cooperazione, fiducia e trasparenza che
riduce la tensione emotiva delle parti e minimizza le ostilità; 7. Maggiore velocità rispetto ad un
procedimento giudiziale ordinario, risparmio di tempo e costi; 8. Il raggiungimento di un accordo
permette di creare soluzioni efficaci, efficienti e durature: il lavoro di squadra permette alle parti di
ottenere in maniera condivisa una soluzione efficace, tramite accordi duraturi nel tempo che
potranno essere modificati in un futuro applicando lo stesso metodo collaborativo.

I principi della pratica collaborativa

L’avvio del percorso collaborativo presuppone la sottoscrizione del c.d. accordo di partecipazione,
attraverso il quale le parti e tutti i professionisti coinvolti si obbligano al rispetto dei seguenti ed
imprescindibili principi dettati dalla IACP (International Academy of Collaborative Professionals): •
Divieto, per i clienti e tutti i professionisti che compongono il team collaborativo, di intraprendere,
nella fase di negoziazione, un procedimento contenzioso legato al caso collaborativo; divieto che,
qualora infranto, comporta la rinuncia all’incarico conferito e l’automatica conclusione del processo
collaborativo. • Conferimento del mandato ai professionisti limitato al perseguimento dell’accordo
sulle questioni oggetto della procedura collaborativa, con l’espresso divieto di assistere e
rappresentare le stesse parti nell’eventuale giudizio contenzioso che, nell’ipotesi di fallimento della
procedura collaborativa, le stesse decidessero di instaurare. • Osservanza dei canoni di trasparenza,
riservatezza e buona fede nello svolgimento del percorso collaborativo. In particolare, l’impegno
alla trasparenza si declina nell’obbligo, gravante sulle parti e sui di condividere e scambiarsi
informazioni e documenti rilevanti per affrontare le questioni su cui verte il conflitto; il
professionista, peraltro, laddove apprenda che una parte abbia omesso delle informazioni o le abbia
fornite in maniera non veritiera, è tenuto a rinunciare all’incarico ogniqualvolta la stessa parte, pur
se ammonita, continui a violare l’obbligo di trasparenza. Inoltre, per incentivare l’instaurarsi di un
clima di fiducia tra le parti, che consenta alle stesse di potersi esprimere liberamente e nella più
assoluta confidenzialità, tutta la procedura è coperta dalla riservatezza delle informazioni scambiate
e dei documenti prodotti che, pertanto, non possono essere rilevanti né ad altri soggetti che non
abbiano preso parte al procedimento collaborativo, né in un futuro ed ipotetico giudizio
contenzioso, salvo il consenso del cliente e, in ogni caso, nel rispetto delle pattuizioni disciplinate
nell’accordo di partecipazione e delle regole deontologiche proprie di ciascuna categoria
professionale. • Partecipazione attiva delle parti in tutte le fasi del procedimento collaborativo per
far si che le stesse siano coinvolte in maniera diretta nelle trattative, secondo modalità improntate
alla fiducia, all’ascolto e al rispetto delle reciproche priorità. Abbiamo visto come nella prassi del
diritto collaborativo vale il principio secondo cui in caso di mancato accordo gli avvocati si
impegnano, abbandonando il mandato, a non assistere il proprio cliente nell’eventuale giudizio
instaurato. La normativa sulla negoziazione assistita, invece, si limita a prevedere il divieto per gli
avvocati e per le parti di utilizzazione delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite
nell’eventuale giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto.

Il team

Il team collaborativo comprende tutti coloro che partecipano ad un singolo procedimento
collaborativo: le parti, i loro avvocati, e gli altri professionisti che, professionisti, nel singolo caso, si
ritenga opportuno coinvolgere. Il team è costituito da tutti i professionisti che partecipano alla
singola pratica. Vi è una differenza di ruolo tra gli avvocati ed altri professionisti che partecipano alla
singola pratica: l’avvocato è nominato dalla singola parte ed è in primo luogo tenuto alla riservatezza
su quanto confidatogli dal proprio assistito; assiste il suo cliente per la migliore realizzazione dei suoi
interessi. Tale specifico ruolo viene definite “Collaborative Advocacy”.115 Gli altri professionisti,
invece, (facilitatore, esperto dell’età evolutiva, esperto finanziario) vengono nominati da entrambe
le parti e rimangono neutrali: sono tenuti alla riservatezza solo “all’esterno”, ossia non possono
divulgare a terzi quanto acquisito durante la pratica collaborativa, ma non “all’interno”, ossia
quanto rivelato loro da una parte, pur in sessioni separate, può essere condiviso con l’altra parte.
Quest’ultimo è un aspetto fondamentale, collegato al loro operare come esperti neutrali, del quale
le parti ovviamente vengono informate, cosi da averne piena consapevolezza.
Le fasi del procedimento
Il procedimento collaborativo è una roadmap, ossia un percorso definito e sicuro che si articola
nelle seguenti tappe:116 1. Primo contatto con il cliente e la sottoscrizione dell’accordo di
partecipazione; 2. Una seconda fase con incontri a quattro o a sei con il team ove si svolge attività
di negoziazione con esplorazione degli interessi e elaborazione delle opzioni; 3. Una terza fase
dell’accordo consistente nella redazione e nella sottoscrizione dello stesso.
Nancy Cameron, avvocato specializzato in diritto collaborativo e scrittrice statunitense, paragona
queste 3 fasi del procedimento a una immagine molto suggestiva: il concepimento, la gestazione e
la nascita.

La prima fase

La prima fase si articola in varie sottofasi: l’incontro preliminare tra l’avvocato e il cliente; l’incontro
preliminare con l’avvocato dell’altra parte e la costruzione del team; il primo incontro congiunto ove
si firma l’accordo di partecipazione e che corrisponde all’inizio del procedimento; incontri di debriefing con il proprio cliente e l’avvocato dell’altra parte. L’incontro preliminare con il cliente è
molto importante e delicate, l’avvocato raccoglie informazioni sul caso, espone il suo modo di
lavorare e quale è il suo ruolo; da informazioni in modo neutro sulle varie opzioni procedurali, ossia
sui diversi metodi di soluzione delle controversie, che sono: la mediazione, la negoziazione assistita,
la pratica collaborativa, il giudizio. Questa informazione, con riguardo ai percorsi alternative al
giudizio previsti dalla legge, è peraltro oggetto di uno specifico “dovere” stabilito dall’art 27 del
codice deontologico forense, intitolato “doveri di informazione”, recentemente modificato (con
Delibera CNF 23 febbraio 2018). L’art 27, comma 3, dispone “L’avvocato, all’atto del conferimento
dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del
procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, delle possibilità di avvalersi del procedimento
di mediazione, deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti
dalla legge”. L’avvocato in questo primo incontro deve prestare molta attenzione a lasciare il cliente
libero di scegliere il procedimento più adatto al proprio caso e a non convincerlo a scegliere un
procedimento piuttosto che un altro.
L’avvocato deve informare il cliente dei vantaggi e degli svantaggi di ogni procedimento per
consentirgli una scelta autonoma e consapevole. Le ulteriori sottofasi della prima fase sono:
l’incontro preliminare, che può essere di persona o telefonico, con l’avvocato dell’altra parte e la
costruzione del team eventualmente anche con i terzi neutrali. Il primo incontro congiunto è quello
ove si firma l’accordo di partecipazione e che segna l’inizio del procedimento. Poi ci sono gli incontri
di de-briefing, sia fra ciascun avvocato e il suo cliente, sia dei professionisti del team: questa fase è
altrettanto importante proprio perché dal feedback del proprio cliente, o dell’altro avvocato o degli
esperti neutrali, si intuisce quale direzione dare al processo collaborativo e alla negoziazione.

Fase di negoziazione

La fase di negoziazione è l’aspetto fondamentale e più complesso di tutta la pratica ed anche il più
lungo perche è il momento in cui il conflitto si trova nello stadio piu acceso, le emozioni sono a un
livello molto intenso e si possono verificare momenti di impasse. Per questo motivo la presenza al
tavolo di un facilitatore della comunicazione potrebbe aiutare molto il processo. La negoziazione è
basata sugli interessi delle parti; pertanto, questa fase è molto importante avendo una potenza
generativa particolare. I professionisti mantengono il focus su ciascun partecipante, interloquiscono
con attenzione con le parti e in sinergia tra loro, con interventi anche ‘incrociati’, pause di silenzio,
ritmi e divisione dei tempi e dei ruoli che progressivamente prendono forma nella reciproca
“considerazione”.

La fase dell’accordo finale

Se la negoziazione ha portato ad un esito favorevole le parti concludono un accordo, che costituisce
il risultato finale della negoziazione. L’accordo prima è concordato tra le parti, poi è redatto in un
documento scritto, attività di competenza degli avvocati. L’accordo finale ha la natura giuridica di
un contratto, ai sensi dell’articolo 1321 c.c., e potrebbe avere la forma di una transazione o di un
contratto atipico. Tale accordo per sua natura non ha efficacia esecutiva, perché, a differenza della
mediazione e negoziazione assistita, la Pratica Collaborativa non è disciplinata dalla legge che
attribuisce efficacia esecutiva all’accordo raggiunto a seguito dell’attività di negoziazione. Nel caso,
invece, in cui il percorso collaborativo sia condotto all’interno di un procedimento di negoziazione
assistita in tal caso l’accordo raggiunto acquista subito l’efficacia di titolo esecutivo.

La pratica collaborativa in Italia

In Italia il metodo collaborativo è stato recepito nel 2010 attraverso le diverse associazioni di
professionisti collaborativi. La prima associazione che è stata creata è stata la AIADC – Associazione
Italiana Avvocati di Diritto Collaborativo – con sede a Milano, che successivamente ha cambiato
nome in Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, volendo evidenziarne l’approccio aperto
a tutti i professionisti e non solo agli avvocati. Sempre nello stesso anno è stato fondato l’Istituto
Italiano di Diritto Collaborativo (ILCL), che poi ha mutato il nome in Istituto Italiano di Diritto
Collaborativo e Negoziazione assistita, con sede a Roma. Nel 2016 è stato fondato il Gruppo Italiano
di Pratica Collaborativa con sede ad Ascoli Piceno. In Italia abbiamo visto come la pratica
collaborativa non sia ancora giuridicamente riconosciuta, trattandosi di una “prassi professionale”.
È importante osservare, tuttavia, il cambiamento culturale e il rinnovato contesto sociale degli ultimi
anni che appare favorevole alla diffusione della Pratica Collaborativa. In conclusione, Stuart Webb
ha avuto l’intuizione, ha creato le radici di quella che è diventata una grande pianta, ossia tutta la
comunità degli avvocati collaborativi del mondo. Questa pianta è potuta crescere grazie al lavoro
dei tanti professionisti collaborativi che hanno creato, con il lavoro sui casi e il confronto reciproco,
una vera e propria esperienza e prassi. Nell’aggettivo “collaborativo” vi è in essere l’essenza più vera
di questo strumento che definisce il particolare ruolo, la funzione e l’etica dell’avvocato
collaborativo e che distingue questa Pratica da altre forme di risoluzione dei conflitti al di fuori dai
tribunali. L’avvocato “collabora” con l’avvocato dell’altra parte e con i membri del team, tutti
formati allo stesso metodo di negoziazione, spostandosi così da una posizione clientelare rivolta
all’assistenza e al patrocinio del proprio cliente ad un’ottica di servizio di entrambe le parti, pur nel
rispetto dei doveri deontologici della propria professione e in ultima analisi di servizio della società,
contribuendo a un benessere sia del singolo che della collettività