IL CONFLITTO DI LEALTÀ: IL BAMBINO “SEPARATO”

Non capita spesso che i protagonisti di una separazione, in corso o già definita, desiderino
mettersi in discussione e affidarsi all’esperienza di uno psicoterapeuta, ma quando succede ci
si trova di fronte ad una sincera motivazione che facilita il lavoro terapeutico nella ricerca delle
soluzioni più utili all’interesse di tutti, soprattutto, se presenti, dei figli.

Non risparmio ai genitori più disponibili e proattivi qualche nota tecnica sui processi relazionali
che una famiglia – dato che, sebbene “separanda” o separata, siamo ancora in presenza di una
famiglia – si trova ad affrontare quando è coinvolta in una separazione, tanto più se
conflittuale. A volte mi sorprendo nel trovare genitori che si documentano autonomamente e
mi confidano le loro conclusioni: “Secondo me è il conflitto di lealtà il cardine di tutto. Lo
intuisco dai suoi comportamenti (della figlia)” … “Ho letto del conflitto di lealtà, e ritrovo certi
comportamenti, sia pure sfumati, di mio figlio. Voglio capire come posso incidere
positivamente”.

Cerchiamo di capire cosa sia questo conflitto di lealtà, nella speranza di sollecitare le coppie
conflittuali ad abbandonare atteggiamenti oltremodo deleteri per i figli, se non a rivolgersi ad
un esperto in grado di gestire e risolvere in senso costruttivo le relazioni disfunzionali.
Il concetto di “lealtà familiare” è stato proposto negli anni ’70 del secolo scorso da Ivan Boszormeny – Nagy1, con riferimento alla coppia coniugale, in questi termini: ciascun coniuge
manifesta una sorta di devozione nei confronti della propria famiglia di origine (e della sua
linea di discendenza) e di conseguenza vive un delicato equilibrio fra il senso di appartenenza
al nucleo originario e quello con il partner. Trasferendo il concetto al rapporto di filiazione la
tematica diventa più complessa: il senso di lealtà che un bambino prova nei confronti di

11 I. BOSZORMENYI – NAGY, G. SPARK, Lealtà invisibili, Astrolabio, 1988 (edizione originale:
Invisible loyalties: Reciprocity in intergenerational family therapy, Harper & Row, 1973).

ciascuno dei genitori ha una natura connessa con il suo senso di esistere. L’unità e l’armonia
all’interno della famiglia sono fattori di protezione per il suo equilibrio e la sua integrità.
E’ sufficiente un litigio fra i genitori per scatenare un conflitto di lealtà in un bambino, in un
adolescente, ma anche in un giovane adulto, e dunque generare una situazione di sconforto e
separazione interna. Ovviamente questa lacerazione sarà tanto più profonda e pervasiva quanto
più la litigiosità si trasforma in lotta, dunque durante una separazione conflittuale raggiungerà
i massimi livelli.

Lo stato di sofferenza è facilmente comprensibile: un bambino è per natura attaccato ad
entrambi i genitori, ed in caso di contrasto è naturale che oscilli da una parte all’altra del
conflitto, senza sapere da che parte stare, appoggiando ora uno ora l’altro, magari trainato da
comportamenti di uno o di entrambi che cercano un’alleanza o una vera e propria coalizione,
per condurre irrevocabilmente il figlio a sostenere un genitore al fine di escludere l’altro.
Se il bambino si allea con un genitore sente di aver tradito l’altro; se resta in silenzio,
nascondendo informazioni che potrebbero essere rilevanti, percepisce di tradire entrambi. La
situazione è veramente lacerante, il figlio si sente “diviso a metà”, “separato”.

In un altro caso di separazione altamente conflittuale una bambina veniva vestita e addirittura
chiamata in modo diverso dai genitori: nei fine settimana in cui viveva con il padre era Chiara
e l’abbigliamento richiedeva sneakears, leggins, felpe con cappuccio. Quando stava con la
madre era Anna, ed erano i giorni dei vestiti eleganti e dei cerchietti. Non è difficile
comprendere come una tale estremizzazione possa portare a conseguenze di scissione interiore
e disgregazione del senso del sé.

Anche in assenza di contrasti accesi ed espliciti, la separazione genitoriale genera per
definizione un conflitto di lealtà: madre e padre sono parti interiorizzate nel bambino (o
adolescente, o giovane adulto) che a loro volta si separano, entrando in opposizione.
L’errore più grande che i genitori possono commettere è quello di cercare l’appoggio del minore
a sostegno delle loro battaglie. In alcuni casi questo appoggio viene ottenuto attraverso tattiche
poco leali, quali la denigrazione e / o svalutazione costante dell’altro genitore, la ridefinizione
di eventi che può arrivare fino alla mistificazione della realtà, il fornire ai figli informazioni di
cui non dovrebbero venire a conoscenza (ad esempio su relazioni extraconiugali che hanno
preceduto la separazione), il bombardare il figlio con frasi ad effetto quali “come ti amo io non
ti ama nessuno”, “solo io so cosa è giusto per te”, “uniti passeremo questo brutto momento”,
eccetera.

Le conseguenze del conflitto di lealtà: dal sintomo psicologico al rifiuto di un genitore
Di fronte a questa situazione lacerante e confusiva, le strategie a disposizione del bambino non
sono molte. Una è quella di “produrre un sintomo” psicologico: il figlio diventa il cosiddetto
“paziente designato”2 a raccogliere ed esprimere il disagio di tutta la famiglia. E’ piuttosto
frequente lo sviluppo di disturbi quali: ansia, attacchi di panico, difficoltà nel sonno (apnee
notturne, incubi), modifiche dell’appetito in direzione anoressica o bulimica, flessioni umorali,
comportamenti oppositivi e aggressivi.

In termini di sviluppo psico affettivo e relazionale, il conflitto di lealtà tende a disgregare /
disorganizzare i modelli di attaccamento3 e i modelli relazionali impliciti, ovvero quelle
strutture mentali, essenzialmente inconsapevoli, che guidano lo svolgimento delle relazioni con
le persone significative, provocando conseguenze che si trascinano per tutta la vita. A livello di
attaccamento un bambino coinvolto in un conflitto di lealtà è spinto ad atteggiamenti
contrastanti che non trovano soluzione né in una condotta di allontanamento né in una di
avvicinamento: il comportamento perde di coerenza, portando al collasso di qualsiasi strategia
e favorendo lo sviluppo di forme di attaccamento insicuro, spesso disorganizzato.
La conseguenza più drastica alla quale una famiglia può andare incontro è il rifiuto di un
genitore da parte del figlio, rifiuto a cui il bambino può arrivare per far cessare lo stato di
sofferenza creato dal conflitto di lealtà. Con il rifiuto genitoriale il conflitto di lealtà sparisce,
almeno a livello consapevole, risolvendo in senso definitivo la sensazione di separazione
interna.

2 Per “Paziente Designato” in psicoterapia sistemico familiare si intende il membro che, all’interno della famiglia,
esprime un sintomo psicologico che si fa portatore dell’intero disagio familiare. Il sintomo consente al sistema
familiare di mantenere un equilibrio, seppur basato su logiche disfunzionali. 3 L’attaccamento (J. BOLWBY, Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri, Roma, 1999; M. AINSWORTH,
Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Raffaello Cortina, Milano, 2006) è una motivazione di base
dell’essere umano che si manifesta nella ricerca di prossimità e protezione nei confronti della madre (e in generale
della figura del caregiver). Il modello di attaccamento sviluppato nella primissima infanzia si struttura in modelli
operativi interni e in una conoscenza relazionale implicita (K. LYONS – RUTH e al., Implicit relational knowing:
Its role in development and psychoanalytic treatment, in Infant Mental Health Journal, Volume 19, n. 2, 1998, pp.
282 – 289) che definisce veri e propri modelli di interazione.

Arrivare ad un rifiuto categorico non è facile, e la ragione più probabile del rifiuto di un genitore
è di norma il comportamento del genitore stesso. Se questo è vero, è pur vero che in alcuni casi
la coalizione con un genitore, tipicamente il collocatario, può favorire, anche attraverso
comportamenti non totalmente consapevoli, un cambiamento nella valutazione dell’altro. Si
tratta di processi complessi nei quali tutti i membri della famiglia giocano un ruolo, dunque
difficilmente riconducibili all’opera di manipolazione o lavaggio del cervello messo in atto da
una madre / un padre perversa / o e malevola / o.

Il rifiuto di un genitore determina la perdita, reale e simbolica, di una figura che per natura è
incarnata nel senso di sé di un figlio, e dunque comporta una situazione di vero e proprio lutto,
al di là di tutte le conseguenze legali che vengono ad essere scatenate da una situazione di questo
tipo. Il rifiuto genitoriale è l’estrema soluzione che il conflitto di lealtà può generare, e al di
fuori dei casi di violenza andrebbe scongiurato in quanto difficilmente, una volta innestato, si
riesce a rendere il processo reversibile. Dunque agire sin prime fasi di una separazione
attraverso l’intervento combinato dell’avvocato e dello psicoterapeuta può essere una risposta
seria ed efficace per prevenire l’insorgenza di una serie di drammatiche conseguenze a carico
dei figli e che si riverberano a cascata su tutta la famiglia.